In occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle donne, anche il Ruolo Terapeutico di Parma aderisce all’iniziativa del Teatro Regio di Parma #neancheperfinta.
Noi come luogo di cura dei più piccoli vediamo ogni giorno quanto crescere con una base sicura sia necessario per una buona idea e una buona evoluzione di sé, qualunque sia la strada della vita su cui ci si incammina.
Accogliamo nelle nostre stanze di terapia donne già adulte profondamente trasformate nelle loro possibilità di crescere da violenze e abusi subite da molto giovani e spesso innominate e innominabili per anni e accompagniamo il loro doloroso lavoro con e contro parti di loro stesse per darsi la possibilità di essere libere.
Per ricordare tutto questo, pubblichiamo un brano tratto dal libro “La trasformata di Fourier” di Monica Joris.
#neancheperfinta
Tutto era cominciato intorno ai 12 anni; come sempre quell’estate, era andata in montagna dai nonni, i
genitori di papà.
Lassù era un posto splendido, sull’appennino, pieno di boschi e ruscelli, prati e campi arati. La casa dei
nonni era poco più di una catapecchia, a dire il vero, con il gabinetto fuori, la stalla con due mucche, il
serraglio per il maiale, una piccola aia con le galline che razzolavano nel campo lì intorno. Negli anni
passati, se la giornata era molto calda, Michela, quando era nei paraggi e non in giro a scorrazzare con il
gruppo di ragazzini (circa) coetanei del paese, si metteva in mutande, si bagnava con la canna dell’acqua di pozzo, gelida!, ed aiutava talvolta la nonna nell’orto o con tutte le bestie, tranne le mucche. Solo il nonno poteva occuparsi delle mucche, quelle erano sue, le faceva uscire dalla stalla, riempiva di fieno la
mangiatoia, e metteva tutte le sere due secchi pieni d’acqua fresca vicino al fieno, sicché quelle bestie,
vivendo nel Bengodi!, mangiavano e ruminavano in continuazione, producendo una quantità incredibile di latte, che il nonno mungeva da solo, due volte al giorno. Era stato così da sempre, Michela da sempre andava in vacanza in questo piccolo angolo di paradiso, e con gli amici, che abitavano giù al paese, ad un chilometro da lì, si incontrava a metà strada, e poi via, verso nuove avventure, insieme! In totale erano non più di cinque ragazzini, ma sembravano almeno il doppio! Ogni giorno giochi, corse, salti nel fienile, bagni nel ruscello, una delizia! Quell’anno era cambiato qualcosa nel corpo di Michela, tanto che non si sentiva più libera di andare in giro in mutande: il seno cominciava ad aumentare, il giro-vita a restringersi, i peli a crescere un po’ ovunque, ma soprattutto lì…tutto questo stordiva un po’ Michela, che, abituata ad essere e a comportarsi come un maschiaccio, non si sentiva più guardata dagli amici come una di loro, ma percepiva delle occhiate un tantino diverse, un ché di imbarazzato ed imbarazzante, la fine di qualcosa che non avrebbe voluto finisse mai.
Di queste cose Michela aveva tentato di parlare con la nonna, ma lei si era trincerata dietro un secco ma cosa dici? Sei una bambina! Non si parla di queste cose, è peccato…. e poi aveva iniziato a pregare come in una filastrocca senza senso, monocorde, come a voler coprire davanti a dio il peccato che trasudava dalle parole della nipote Avemariagraziaplena dominustecum…………..
oggesù dalcuoracceso nontiavessi maioffeso…
…e poi, dopo cinque minuti’ di litanie… parlane con tuo nonno, se proprio ti interessa; lui è un
miscredente, un porco, non ha altro in mente….
Al momento a Michela era sembrata una buona idea, il nonno era un po’ strano, ma certo le avrebbe spiegato quello che le stava succedendo…lui era un uomo di mondo, non tutto casa e chiesa…e quel giorno Michela si fidò del nonno…a volte la fiducia viene data a chi meno se la merita…
Il nonno era occupato a mungere Fiorella, la sua vacca preferita. Michela andò da lui, si sedette sopra un
covone di fieno profumato, guardando le lunghe ombre che il tramonto creava giocando con gli alberi, là
fuori. Dopo qualche minuto, il coraggio la fece parlare, si confidò con quest’uomo ancora giovanile e
robusto, innamorato delle sue vacche. Il nonno ascoltò attento, con un sorriso che progressivamente fioriva sulla sua faccia, un sorriso che nulla aveva di dolce. Ed iniziò ad impartirle lezioni di anatomia e fisiologia dal vivo, dapprima tentennante, poi , vista la mancanza di reazione da parte della nipote, sempre più sicuro di sé, sempre più divorato dal furore della passione, mentre Michela, inerte e terrorizzata, come paralizzata, non riusciva nemmeno ad urlare per chiedere aiuto. Quando vide uscire da quel membro gonfio e rosso quella specie di latte disgustoso, sentì che le mani del mostro allentavano la presa su di lei…allora si mosse, velocissimamente, uscì dalla stalla, faceva buio, cominciò a correre, correre, correre a perdifiato, piangendo, senza fermarsi, verso il paese, verso le case dei suoi amici, articolando nella corsa stralci di frasi sconnesse, senza senso. Arrivata in paese, bussò alla casa di Elio. Le aprirono. Vedendola in quelle condizioni, con le braghette mezze strappate, i capelli pieni di paglia, gli occhi terrorizzati e persi, nessuno le chiese niente; la accolsero, le fecero bere un the caldo con il miele, le prepararono una mastella piena di acqua calda fumante.
Mamma Tina (la mamma di Elio, di Sergio e di Vera, la più grande) cacciò via dalla cucina, con fermezza,
tutti quanti, dolcemente la prese per mano, la spogliò molto lentamente davanti al camino acceso e gettò nel fuoco i vestiti stracciati, sporchi anche di ricordi, una sorta di rituale. Poi la fece entrare nel bigoncio d’acqua calda, dove i muscoli di Michela finalmente iniziarono a rilassarsi ed il suo respiro si fece più regolare. Il bagno purificatore non durò meno di un’ora, giusto il tempo che l’acqua aveva impiegato ad intiepidirsi.
Tina l’aiutò ad alzarsi e ad uscire dall’acqua, prese un grande lenzuolo bianco, di quel cotone pesante che
assorbe nella sua trama fitta tutta la sofferenza del corpo, l’asciugò tamponando la pelle ferita dalla schifosità di un uomo schifoso, la rivestì con un grazioso, vecchio pigiamino che era stato di Vera quando era piccola, e la accompagnò nella camera grande, quella dove dormiva col marito. La mise a letto, sotto il lenzuolo e si coricò vestita vicino a lei, tenendole la mano, finché Michela non si addormentò.
Nel cuore di Tina c’era, traboccante e trattenuto, l’urlo di furore e ribellione contro questi due nonni,
l’impulso urgente di affrontare il vecchio porco, la voglia di correre a massacrarlo di insulti e di botte;
sentiva fisicamente un senso di nausea, dovuto al disgusto nei confronti di quella vecchia sudicia bigotta che mandava al macello la carne della sua carne, pur di non affrontare la verità…avrebbe voluto guardarla negli occhi, adesso, subitissimo, ed inchiodarla alle sue responsabilità, alla sua colpa peggiore, il silenzio….. ma invece rimase lì, ferma, tutta la notte, a sorvegliare e consolare senza parole la piccola Michela. Sveglia, come a proteggerla dai suoi stessi incubi. Suo marito, Fedele, fece capolino dopo un’ora, per bisbigliarle se avesse bisogno di qualcosa, poi, con un sorriso nel quale c’era tutto, si ritirò, tornando da Elio, che non riusciva a capire cosa fosse successo alla sua Michela; toccò a Fedele spiegarglielo, ed Elio non riuscì per molto tempo a trovare il coraggio di riavvicinarsi a Michela, vergognandosi del suo essere maschio, anche per tutti quelli che non se ne vergognavano, pur dovendolo fare! Questo pezzo di vita di Michela era marchiato a fuoco dentro di lei. Aveva cercato di cancellare tutto, aveva cercato soprattutto di dimenticare la reazione di suo padre quando lei, sconvolta, era riuscita, al ritorno da quella vacanza, a dirgli tutto, con la certezza che lui avrebbe fatto qualcosa per la sua bambina….nulla!!!non aveva fatto nulla, anzi, l’aveva accusata di inventarsi le cose, di essere una gran bugiarda, che chissà chi te le ha messe in testa quelle porcate lì…i tuoi amici, senz’altro…ma adesso …. sono dei balordi… come osi accusare tuo nonno di una cosa del genere, sei una gran bugiarda, erba gramigna … .diventerai una puttana… e l’aveva punita, vietandole di andare a giocare con i suoi amichetti, e dicendo alla moglie di tenerla d’occhio perché c’aveva delle idee in testa che…
Mamma la tenne d’occhio, e l’unica cosa che fu in grado di dirle per accogliere il suo dolore, la sua paura, il suo caos interno, fu che doveva aver pazienza, gli uomini sono fatti così, non pensarci più! NON
PENSARCI PIÙ’!!!?! …ma non basta…la crudeltà talvolta non ha limiti…fino ai 16 anni tutte le estati fu
obbligata ad andare dai nonni in montagna. Quante suppliche, quante preghiere, quanti pianti per cercare di impietosire mamma e papà…niente era servito! In montagna dai nonni!
In montagna NELL’INCUBO!
Michela viveva quelle estati come una punizione che le veniva inferta perché…non sapeva il perché…a volte si chiedeva se quello che era successo col nonno fosse accaduto davvero, o magari fosse solo frutto della sua fantasia malata…poi per fortuna c’era la mamma di Elio, ed il papà, ed Elio stesso che erano stati testimoni non diretti, ma se non altro a caldo, ed allora si rincuorava riguardo la propria sanità mentale. Questo però comportava la valutazione del comportamento dei suoi genitori, ed allora la coglieva la disperazione ed un odio furibondo verso di loro, ancor di più che verso il nonno, che comunque schivava come un brutto male.
Di quelle estati Michela ricordava la famiglia Bigi, questo era il cognome di Elio; i signori Bigi, resisi conto della follia dei suoi genitori, la tenevano sempre a casa loro, anche a dormire, non la lasciavano nella catapecchia dei nonni schifosi, e quelle poche volte che Michela doveva per forza restare dai nonni, non la lasciavano sola: con lei stava Elio, a proteggerla senza parere, dormendo nella stessa stanza, sopra un materasso per terra, davanti alla porta chiusa. A guardia.
Da quel giorno lontano nel quale lei aveva tentato di parlare con suo padre, l’argomento non fu mai più
affrontato.
Tabù. La devastazione provocata da questa situazione nel rapporto di Michela con i genitori (e viceversa), fu assoluta e totale, ed ora si trovava nel limbo del non possibile.
genitori di papà.
Lassù era un posto splendido, sull’appennino, pieno di boschi e ruscelli, prati e campi arati. La casa dei
nonni era poco più di una catapecchia, a dire il vero, con il gabinetto fuori, la stalla con due mucche, il
serraglio per il maiale, una piccola aia con le galline che razzolavano nel campo lì intorno. Negli anni
passati, se la giornata era molto calda, Michela, quando era nei paraggi e non in giro a scorrazzare con il
gruppo di ragazzini (circa) coetanei del paese, si metteva in mutande, si bagnava con la canna dell’acqua di pozzo, gelida!, ed aiutava talvolta la nonna nell’orto o con tutte le bestie, tranne le mucche. Solo il nonno poteva occuparsi delle mucche, quelle erano sue, le faceva uscire dalla stalla, riempiva di fieno la
mangiatoia, e metteva tutte le sere due secchi pieni d’acqua fresca vicino al fieno, sicché quelle bestie,
vivendo nel Bengodi!, mangiavano e ruminavano in continuazione, producendo una quantità incredibile di latte, che il nonno mungeva da solo, due volte al giorno. Era stato così da sempre, Michela da sempre andava in vacanza in questo piccolo angolo di paradiso, e con gli amici, che abitavano giù al paese, ad un chilometro da lì, si incontrava a metà strada, e poi via, verso nuove avventure, insieme! In totale erano non più di cinque ragazzini, ma sembravano almeno il doppio! Ogni giorno giochi, corse, salti nel fienile, bagni nel ruscello, una delizia! Quell’anno era cambiato qualcosa nel corpo di Michela, tanto che non si sentiva più libera di andare in giro in mutande: il seno cominciava ad aumentare, il giro-vita a restringersi, i peli a crescere un po’ ovunque, ma soprattutto lì…tutto questo stordiva un po’ Michela, che, abituata ad essere e a comportarsi come un maschiaccio, non si sentiva più guardata dagli amici come una di loro, ma percepiva delle occhiate un tantino diverse, un ché di imbarazzato ed imbarazzante, la fine di qualcosa che non avrebbe voluto finisse mai.
Di queste cose Michela aveva tentato di parlare con la nonna, ma lei si era trincerata dietro un secco ma cosa dici? Sei una bambina! Non si parla di queste cose, è peccato…. e poi aveva iniziato a pregare come in una filastrocca senza senso, monocorde, come a voler coprire davanti a dio il peccato che trasudava dalle parole della nipote Avemariagraziaplena dominustecum…………..
oggesù dalcuoracceso nontiavessi maioffeso…
…e poi, dopo cinque minuti’ di litanie… parlane con tuo nonno, se proprio ti interessa; lui è un
miscredente, un porco, non ha altro in mente….
Al momento a Michela era sembrata una buona idea, il nonno era un po’ strano, ma certo le avrebbe spiegato quello che le stava succedendo…lui era un uomo di mondo, non tutto casa e chiesa…e quel giorno Michela si fidò del nonno…a volte la fiducia viene data a chi meno se la merita…
Il nonno era occupato a mungere Fiorella, la sua vacca preferita. Michela andò da lui, si sedette sopra un
covone di fieno profumato, guardando le lunghe ombre che il tramonto creava giocando con gli alberi, là
fuori. Dopo qualche minuto, il coraggio la fece parlare, si confidò con quest’uomo ancora giovanile e
robusto, innamorato delle sue vacche. Il nonno ascoltò attento, con un sorriso che progressivamente fioriva sulla sua faccia, un sorriso che nulla aveva di dolce. Ed iniziò ad impartirle lezioni di anatomia e fisiologia dal vivo, dapprima tentennante, poi , vista la mancanza di reazione da parte della nipote, sempre più sicuro di sé, sempre più divorato dal furore della passione, mentre Michela, inerte e terrorizzata, come paralizzata, non riusciva nemmeno ad urlare per chiedere aiuto. Quando vide uscire da quel membro gonfio e rosso quella specie di latte disgustoso, sentì che le mani del mostro allentavano la presa su di lei…allora si mosse, velocissimamente, uscì dalla stalla, faceva buio, cominciò a correre, correre, correre a perdifiato, piangendo, senza fermarsi, verso il paese, verso le case dei suoi amici, articolando nella corsa stralci di frasi sconnesse, senza senso. Arrivata in paese, bussò alla casa di Elio. Le aprirono. Vedendola in quelle condizioni, con le braghette mezze strappate, i capelli pieni di paglia, gli occhi terrorizzati e persi, nessuno le chiese niente; la accolsero, le fecero bere un the caldo con il miele, le prepararono una mastella piena di acqua calda fumante.
Mamma Tina (la mamma di Elio, di Sergio e di Vera, la più grande) cacciò via dalla cucina, con fermezza,
tutti quanti, dolcemente la prese per mano, la spogliò molto lentamente davanti al camino acceso e gettò nel fuoco i vestiti stracciati, sporchi anche di ricordi, una sorta di rituale. Poi la fece entrare nel bigoncio d’acqua calda, dove i muscoli di Michela finalmente iniziarono a rilassarsi ed il suo respiro si fece più regolare. Il bagno purificatore non durò meno di un’ora, giusto il tempo che l’acqua aveva impiegato ad intiepidirsi.
Tina l’aiutò ad alzarsi e ad uscire dall’acqua, prese un grande lenzuolo bianco, di quel cotone pesante che
assorbe nella sua trama fitta tutta la sofferenza del corpo, l’asciugò tamponando la pelle ferita dalla schifosità di un uomo schifoso, la rivestì con un grazioso, vecchio pigiamino che era stato di Vera quando era piccola, e la accompagnò nella camera grande, quella dove dormiva col marito. La mise a letto, sotto il lenzuolo e si coricò vestita vicino a lei, tenendole la mano, finché Michela non si addormentò.
Nel cuore di Tina c’era, traboccante e trattenuto, l’urlo di furore e ribellione contro questi due nonni,
l’impulso urgente di affrontare il vecchio porco, la voglia di correre a massacrarlo di insulti e di botte;
sentiva fisicamente un senso di nausea, dovuto al disgusto nei confronti di quella vecchia sudicia bigotta che mandava al macello la carne della sua carne, pur di non affrontare la verità…avrebbe voluto guardarla negli occhi, adesso, subitissimo, ed inchiodarla alle sue responsabilità, alla sua colpa peggiore, il silenzio….. ma invece rimase lì, ferma, tutta la notte, a sorvegliare e consolare senza parole la piccola Michela. Sveglia, come a proteggerla dai suoi stessi incubi. Suo marito, Fedele, fece capolino dopo un’ora, per bisbigliarle se avesse bisogno di qualcosa, poi, con un sorriso nel quale c’era tutto, si ritirò, tornando da Elio, che non riusciva a capire cosa fosse successo alla sua Michela; toccò a Fedele spiegarglielo, ed Elio non riuscì per molto tempo a trovare il coraggio di riavvicinarsi a Michela, vergognandosi del suo essere maschio, anche per tutti quelli che non se ne vergognavano, pur dovendolo fare! Questo pezzo di vita di Michela era marchiato a fuoco dentro di lei. Aveva cercato di cancellare tutto, aveva cercato soprattutto di dimenticare la reazione di suo padre quando lei, sconvolta, era riuscita, al ritorno da quella vacanza, a dirgli tutto, con la certezza che lui avrebbe fatto qualcosa per la sua bambina….nulla!!!non aveva fatto nulla, anzi, l’aveva accusata di inventarsi le cose, di essere una gran bugiarda, che chissà chi te le ha messe in testa quelle porcate lì…i tuoi amici, senz’altro…ma adesso …. sono dei balordi… come osi accusare tuo nonno di una cosa del genere, sei una gran bugiarda, erba gramigna … .diventerai una puttana… e l’aveva punita, vietandole di andare a giocare con i suoi amichetti, e dicendo alla moglie di tenerla d’occhio perché c’aveva delle idee in testa che…
Mamma la tenne d’occhio, e l’unica cosa che fu in grado di dirle per accogliere il suo dolore, la sua paura, il suo caos interno, fu che doveva aver pazienza, gli uomini sono fatti così, non pensarci più! NON
PENSARCI PIÙ’!!!?! …ma non basta…la crudeltà talvolta non ha limiti…fino ai 16 anni tutte le estati fu
obbligata ad andare dai nonni in montagna. Quante suppliche, quante preghiere, quanti pianti per cercare di impietosire mamma e papà…niente era servito! In montagna dai nonni!
In montagna NELL’INCUBO!
Michela viveva quelle estati come una punizione che le veniva inferta perché…non sapeva il perché…a volte si chiedeva se quello che era successo col nonno fosse accaduto davvero, o magari fosse solo frutto della sua fantasia malata…poi per fortuna c’era la mamma di Elio, ed il papà, ed Elio stesso che erano stati testimoni non diretti, ma se non altro a caldo, ed allora si rincuorava riguardo la propria sanità mentale. Questo però comportava la valutazione del comportamento dei suoi genitori, ed allora la coglieva la disperazione ed un odio furibondo verso di loro, ancor di più che verso il nonno, che comunque schivava come un brutto male.
Di quelle estati Michela ricordava la famiglia Bigi, questo era il cognome di Elio; i signori Bigi, resisi conto della follia dei suoi genitori, la tenevano sempre a casa loro, anche a dormire, non la lasciavano nella catapecchia dei nonni schifosi, e quelle poche volte che Michela doveva per forza restare dai nonni, non la lasciavano sola: con lei stava Elio, a proteggerla senza parere, dormendo nella stessa stanza, sopra un materasso per terra, davanti alla porta chiusa. A guardia.
Da quel giorno lontano nel quale lei aveva tentato di parlare con suo padre, l’argomento non fu mai più
affrontato.
Tabù. La devastazione provocata da questa situazione nel rapporto di Michela con i genitori (e viceversa), fu assoluta e totale, ed ora si trovava nel limbo del non possibile.