Voglio condividere in questo spazio una iniziativa tenutasi il 17 maggio scorso in terra di Sardegna, organizzata dal dr. Paolo Serra, psicologo psicoterapeuta e amico e “maestro di vita” di molti di noi. Il dr. Serra ha fondato nel 2016 una associazione senza fini di lucro nel suo paese d’origine, Villacidro (provincia del Sud Sardegna) dopo tanti anni di lavoro come psicoterapeuta a Milano e non solo. Annualmente, tra le altre attività, organizza degli incontri pubblici, coinvolgendo colleghi (e non) che ha conosciuto nel corso della sua vita. Ho pensato fosse prezioso riportare le parole introduttive all’incontro dette dal dr. Serra, perché penso che contengano in forma semplice e viva le motivazioni profonde del senso che lui dà al suo lavoro di terapeuta, motivazioni che credo stiano alla base della creazione dell’Associazione Famiglie villacidresi, in quel luogo e in questo tempo.
Simona Montali
Quest’anno il nostro incontro pubblico presenta ai villacidresi una storia scritta dalla mia collega qui a fianco, Simona Montali.
Quando ho conosciuto Simona, quasi 20 anni fa, mi occupavo della formazione dei terapeuti e del loro lavoro clinico con i pazienti mentre lei si occupava come terapeuta di bambini e di famiglie particolarmente problematiche, ad esempio bambini autistici con le loro famiglie.
La sua attività è cominciata come neonatologa a Parma, ed è poi continuata nella maturità professionale come psicoterapeuta infantile.
Ogni tanto trasferiva per iscritto le sue esperienze terapeutiche in storie non sempre facilmente e immediatamente comprensibili. Al lettore era richiesta attenzione e immedesimazione con i personaggi, spesso rappresentati con venature poetiche.
Da una terapeuta che presenta il suo mestiere e i suoi pazienti come se fossero immersi in una ricerca esistenziale, che si pone come curante di una umanità spesso bizzarra, non si può certo chiedere di scrivere trattati scientifici sui pazienti e le loro storie.
Temo che eventuali rappresentazioni scientifiche delle varie sindromi di cui l’umanità dolente è portatrice sarebbero letture assai noiose già dopo poche pagine. Perciò Simona descrive i suoi personaggi raccontando e romanzando le loro storie, ma alla fine si capisce bene che sono persone reali, proprio come noi. .
In questa capacità di Simona di essere romanziera, quindi di dipanare narrativamente le storie, essa tende a ripristinare una consapevolezza provvisoriamente perduta dai suoi pazienti, ma qualche volta il lavoro è anche quello di fornirgliene una, visto che nessuno ci ha pensato prima.
Io, che apprezzo la sua persona e il suo lavoro, la scorsa estate le ho chiesto se le avrebbe fatto piacere essere qui a Villacidro all’incontro annuale che l’Associazione Famiglie Villacidresi offre ai suoi concittadini.
Mi ha detto di sì e quindi è qui.
Sarà principalmente lei a parlarci di questa storia e aiutarci poi a leggerla con i suoi vari personaggi.
I vari personaggi presenti nel suo racconto cercheremo di rappresentarli sia io sia altri tre amici che si trovano in questa stanza: Roberto Rizzoli, Fabrizio Mascia e Laura Pittau.
Nessuno di noi svolge però il mestiere di attore, e siccome non possediamo fondi economici tali che ci consentano di assoldarne qualcuno, abbiamo deciso comunque di provarci autonomamente.
Quindi le nostre capacità recitative saranno abbastanza mediocri, ma ci sforzeremo di interpretare come meglio possiamo il testo.
Sul testo della storia non voglio dire qualcosa in più, ci penserà eventualmente l’autrice.
In questa serata, visto che ne facciamo una all’anno, credo sia utile parlarvi, anche se in breve, della nostra piccola Associazione Famiglie Villacidresi che, oltre il sottoscritto, ha come soci fondatori Marcella Aresti, Barbara Serra e Valeria Pittau.
Oltre che Presidente, sono attualmente anche l’unico terapeuta dell’Associazione.
In quanto tale, ho dato fin dall’inizio e do tuttora la mia disponibilità ad incontrare chi, fra tutti gli associati, chieda aiuto per iniziare finalmente a prendersi cura di sé stessi e dei propri problemi.
In futuro spero sempre di incontrare qualche giovane terapeuta locale che si voglia dedicare a questo mestiere impossibile.
Dico finalmente perché molte volte mi capita di vedere delle persone, soprattutto quelle di media età, che hanno aspettato anni prima di affrontare i propri problemi, psichici, affettivi, cognitivi, spesso esistenziali, prima di decidersi a chiedere l’aiuto di un terapeuta.
Fare il numero di telefono e chiedere un appuntamento per qualcuno è più difficile che scalare il Monte Bianco.
Eppure chi si trova alle prese con un problema fisico non esita a chiedere aiuto ad uno specialista.
C’è invece una diffusa cultura assai banalizzante, secondo la quale noi umani dovremmo essere capaci di affrontare e risolvere da soli, per conto nostro, tutte le problematiche che sentiamo dentro di noi, a meno che non si tratti di un disturbo mentale grave, in quel caso ci pensa lo psichiatra.
Sono convinto, certo, che ognuno di noi debba imparare ad affrontare i propri problemi, qualsiasi essi siano, ma sono altrettanto convinto che non tutti i nostri problemi interni siano da imputare soltanto alla persona che li ha, poiché la stragrande maggioranza di questi problemi ha un’origine relazionale, prima ancora che biologica.
E soprattutto non è detto che debbano essere affrontati da soli.
In attesa che la componente psicologica della vita venga presa sul serio, una parte non piccola di persone si tiene i problemi mentali per conto suo o ricorre alle varie figure mitologiche e sciamaniche presenti immancabilmente in una cultura millenaria come la nostra.
Davvero non ci manca nulla, credo che sia andata in pensione solo S’Accabadora.
Comunque, gran parte di questi problemi sono nati attraverso le relazioni che abbiamo vissuto, a partire dalla nascita, nelle nostre famiglie di origine.
Non sempre quelle relazioni sono state facili, nè sono state fortunate, anzi…
Noi portiamo molto amore per le persone che ci hanno aiutato a nascere e a crescere. E’ una dato naturale questo sentimento vitale.
Ma non sempre ci siamo sentiti ricambiati. Portiamo quindi anche molto dolore nel nostro cuore perché quest’amore per gli adulti che ci hanno accudito non lo abbiamo sentito ricambiato in maniera sana.
È purtroppo vero che troppi adulti amano i piccoli con modalità malate, spesso molto malate.
Non è mia intenzione far passare l’idea che i genitori non siano buone persone. Non lo penso e non lo credo. Sono certo che le persone si mettono insieme per amore e con lo stesso sentimento danno vita ai figli.
Io sono sicuro che la stragrande maggioranza di essi amano davvero i loro piccoli, ma spesso lo dimostrano facendo ai piccoli gli stessi torti che hanno ricevuto nella loro infanzia. Torti di cui non si rendono nemmeno conto.
Quelle persone che hanno ricevuto questi torti da piccoli, dentro, rimangono ferite e deluse, i loro primissimi rapporti sono “andati male”, e non riescono neanche a immaginare che nuove relazioni possano essere migliori e più sane di quelle che hanno vissuto nella loro infanzia e adolescenza.
Alcuni di loro, però, si stancano di stare male, in solitudine, e decidono che è ora di fidarsi nuovamente di qualcuno, anche sconosciuto.
Anzi, meglio se sconosciuto. Ma talvolta può accadere che contemporaneamente si scateni una sorta di comandamento interno che recita: non fidarsi mai degli sconosciuti!
Ed allora, l’idea di affrontare una psicoterapia con una persona che non si conosce innesca quasi immediatamente il sospetto che questa nuova persona sia affettivamente più o meno come quelle incontrate fino ad ora nella vita, scattano risolute difese rispetto all’idea di dire le cose che si sentono veramente e si studia con cura come imbrogliare finalmente qualcuno percepito più grande e potente. Alla caccia dell’autogol, più o meno consapevole.
Un buon terapeuta con un poco di esperienza sa che deve farsi imbrogliare anche per lunghi periodi prima che il paziente la smetta di perdere tempo.
Quando mi capitano pazienti così, protesi a difendersi, rimando loro che comincio ad annoiarmi e che quando mi annoio comincio a fantasticare. Una fantasia ricorrente in quei momenti è quella di immaginarmi lontano da quella stanza perché sento di non essere più considerato seriamente dall’altro.
Spesso funziona, il paziente si rende conto che sta facendo con me le stesse cose che ha vissuto lui quando era piccolo.
Quando i pazienti si rendono conto che invece questo terapeuta non è proprio come le nostre figure genitoriali e affettive precedenti, che non pretende che noi facciamo delle cose che non vogliamo fare, che il più delle volte si limita a farci domande attorno alle scelte che man mano compiamo nella nostra vita, che più si passa il tempo con loro più l’attenzione che noi poniamo nei confronti di noi stessi ci aiuta ad avere un rapporto nuovo anche con la nostra storia, a fare delle scelte di vita attuale molto più buone e in sintonia con le nostre caratteristiche migliori, allora sta succedendo qualcosa di molto buono.
Questo risultato però viene raggiunto da quelli che non si accontentano di capire solo l’origine dei loro problemi, ma insistono per ristabilire dentro di sé delle relazioni più sane e vitali col mondo.
Sono i pazienti più motivati, quelli stufi di doversi giustificare con tutte le persone che hanno attorno per le scelte che compiono, quelli che capiscono che aver vissuto delle relazioni malate nel loro passato non li autorizza a credere che anche le relazioni presenti e future saranno come quelle andate male.
E c’è anche un’altra parte di pazienti che pur avendo aspettato anni prima di tentare di affrontare i loro problemi, appena si rendono conto che il loro modo di vivere attuale non li aiuta minimamente a risolvere almeno parte dei guai che sentono dentro di loro, si spaventano e abbandonano la terapia.
Troppo difficile per loro.
Questo dice molto sulla difficoltà ad abbandonare le vecchie abitudini.
Con il passare degli anni ho capito che devo anche saper lasciare al loro destino le persone, non me la prendo più se vogliono rimanere immersi nel loro dolore. Mi accontento di farli sentire meno soli di prima.
Purtroppo molte persone hanno una formazione alla vita in cui conta esclusivamente il sacrificio di sé stessi a favore di qualcun altro.
Questa è l’unica cosa che è stata loro insegnata, profondamente.
Nessuno ha insegnato loro che è importante, è giusto aiutare le altre persone e anche il mondo che ci circonda, ma che questo aiuto deve essere subordinato alle capacità che abbiamo dentro di noi di poterlo veramente realizzare.
Non possiamo realisticamente aiutare nessuno in maniera buona se dentro di noi non abbiamo quel bene che vogliamo donare agli altri.
Dare a qualcuno qualcosa che non abbiamo dentro è, sostanzialmente, solo una truffa.
Certo, chi va in terapia scopre che non basta capire con la testa per ottenere un vero cambiamento in meglio dei propri guai.
Anzi, scopre che si diventa ancora più sensibili di prima, che si passa dalla modalità di capire le cose con la testa a quella di “sentire” gli altri e le storie che ci portano, le vicende in cui sono coinvolti, a diventare attenti a tutti gli esseri del creato che sono attorno a noi.
È importante reimparare a sentire, come quando si era bambini.
Anche allora il mondo veniva costruito sulla base delle esperienze con gli altri e con l’ambiente che avevamo attorno, quell’ambiente lo sentivamo dentro anche se non avevamo ancora una competenza verbale per poterlo rappresentare.
Adesso invece siamo cresciuti e vediamo le cose in un modo apparentemente più oggettivo, più esterno a noi stessi.
Andando a scuola abbiamo imparato che esistono altri mondi oltre quello con cui interagiamo quotidianamente.
Ma questa nuova acquisizione di conoscenze avviene, il più delle volte, solo sul mondo fisico esterno.
Poche volte, e a volte mai, ci viene insegnato ad ascoltare il nostro mondo interno.
Quando la vita reale ce lo consente, attingiamo ai ricordi, ma per loro natura i ricordi sono sempre abbastanza sbiaditi e soprattutto quelli più traumatici li abbiamo sepolti nell’inconscio, quella parte di noi dove depositiamo le storie e le esperienze passate che abbiamo vissuto nei primi anni, quando non sapevamo ancora usare le parole; quello che ci guidava nel mondo era ciò che sentivamo dentro e le parole che il mondo adulto ci rimandava davano un senso ad ogni cosa che ci circondava.
Ecco, noi terapeuti ci occupiamo di questi mondi interni.
Io sicuramente lavoro principalmente con lo scopo di andare ad esplorare e a comprendere quello che abbiamo vissuto dentro di noi e come lo abbiamo vissuto.
So che avere una buona comprensione affettiva ed emotiva del nostro mondo interno ci aiuta e ci orienta in una direzione molto più vitale oggi, quando dobbiamo compiere delle scelte di vita diverse da allora.
Ripristinare l’ascolto di sé con l’Io maturo che vogliamo diventare, capire chi siamo davvero e che direzione vogliamo dare alla nostra esistenza.
È una grande pretesa?
Penso di sì.
Una giusta pretesa.
Abbiamo la pretesa di poter diventare pienamente la persona viva che sentiamo dentro di noi.
Ci piace così, una vita piena della conoscenza di sé, del proprio destino che vogliamo costruirci, del sentimento d’amore verso noi stessi e verso tutto il resto del creato.
Voglio sottolineare un ultimo aspetto, anche se apparentemente marginale.
Qui a Villacidro ci sono tornato essenzialmente per poter continuare gli studi e scrivere alcuni capitoli della mia vita, essendo ormai semi pensionato.
Non dimentico però mai alcuni ideali che mi hanno guidato nelle scelte più importanti. In un paese civile come quello in cui vorrei continuare a vivere ci sono alcuni principi che dovrebbero essere garantiti a tutti: l’istruzione, la giustizia, il lavoro, la salute.
Io mi occupo di quest’ultima e intendo questo mestiere di cura anche come un servizio da dare alle persone che mi circondano in questo momento, a cominciare dagli abitanti del paese in cui sono nato.
Diciamo che il mio è anche un debito di riconoscenza che voglio onorare per avermi accolto nella comunità.
La mia famiglia di origine era economicamente molto povera e ha molto lavorato per sopravvivere in quegli anni così difficili in cui sono nato.
Oggi per fortuna non è più così difficile, anche se purtroppo ci sono ancora molte persone povere, non solo economicamente.
So quanta fatica si fa per curarsi.
Personalmente ho iniziato a prepararmi a questa professione lavorando e studiando contemporaneamente per oltre 12 anni.
Non credo si finisca mai di prendersi cura di se stessi e non credo nemmeno di essermi curato a sufficienza, visto che ho sempre il desiderio di continuare a migliorarmi.
Naturalmente lo faccio con le capacità che possiedo e con le abilità e competenze che so esprimere.
Dei pazienti mi interessa quasi esclusivamente la loro motivazione a migliorare il loro mondo interno, non potendo fare molto, realisticamente, con il mondo esterno.
Perché, sono sicuro, si può essere buone persone solo con un buon mondo interiore.
La nostra civiltà, lo vogliamo no, sta cambiando e cambierà rapidamente.
Tra pochi decenni tutto quello che conosciamo oggi sarà probabilmente già vecchio e ci sarà bisogno di essere umani pieni e consapevoli di ciò che è vivo oppure morto, di ciò che è giusto oppure sbagliato, di ciò che è amore oppure odio.
Quel mondo avrà quindi bisogno di noi esseri umani pienamente vitali.
Ricordiamocelo.
Paolo Serra